polaroid che ricordano momenti passati. Ipermemoria autobiografica.

Nel 2016 è stato pubblicato un articolo sul nostro blog incentrato sull’ipermemoria autobiografica. Quest’ultima consiste nella capacità, molto rara, di ricordare aspetti del proprio passato che un individuo normale non sarebbe in grado di richiamare alla memoria. Per esempio, se si chiede a un soggetto ipermemore di raccontare le attività svolte il 16 luglio 2004, non solo le richiama alla mente in modo veloce, ma è anche in grado di descriverle dettagliatamente.

Nel vecchio articolo è stato descritto uno studio iniziato nel 2015 da tre ricercatori italiani – Patrizia Campolongo, Valerio Santangelo e Simone Macri. L’obiettivo era non solo quello di scoprire i meccanismi dell’ipermemoria autobiografica, ma anche individuare potenziali cure per le demenze.

Nel 2016, però, lo studio non era ancora concluso, lasciando così l’articolo aperto verso il futuro. Oggi chiuderemo il cerchio, scoprendone i risultati e vagliando le nuove scoperte in questo campo.

IL PRIMO STUDIO: DAL 2015 AL 2018

Nel 2015 i ricercatori hanno iniziato a individuare i soggetti ipermemori adatti allo studio. Inizialmente, vista la rarità della condizione, ne sono stati identificati solamente due con i quali i test sono stati avviati. È stato chiesto loro di rievocare alcuni eventi recenti e passati. Nel momento in cui un ricordo veniva rintracciato (fase di “accesso”) i soggetti dovevano premere un pulsante. Quando lo rivivevano (fase di “elaborazione”) dovevano premerne un secondo. In contemporanea alla rievocazione, per comprendere i meccanismi biologici alla base dell’ipermemoria autobiografica, sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale.

Nel corso degli anni il numero dei soggetti studiati è salito a otto. Inoltre, sono stati affiancati 21 soggetti di controllo con memoria normo-tipica. I metodi e i procedimenti dello studio sono rimasti i medesimi descritti precedentemente.

Che cosa è emerso? Sorprendentemente, le differenze tra ipermemori e gruppo di controllo sono affiorate solo nella fase di accesso al ricordo. In particolare, durante questa fase, gli ipermemori hanno mostrato un incremento di attivazione della corteccia prefrontale mediale e della sua connettività con l’ippocampo. Quindi l’ipermemoria consiste nella capacità di accedere a tracce mnestiche non accessibili a tutti gli altri, tramite il circuito prefontale-ippocampale.

IL SECONDO STUDIO: DAL 2018 AL 2020

I risultati del primo studio, però, erano troppo generici. Sebbene sia chiaro che ippocampo e corteccia prefrontale giochino un ruolo chiave nella memoria autobiografica, non è chiaro come lo facciano.

É stato, quindi, chiesto ai soggetti ipermemori di rievocare ricordi molto vecchi, tra i 18 e i 20 anni prima. Sottoposti a risonanza magnetica funzionale, è stato osservato il loro cervello in azione. È emerso come una porzione specifica della corteccia prefrontale – porzione ventro-mediale – tenda ad essere più sviluppata e più attiva rispetto alle persone con memoria normo-tipica. Nel cervello comune, infatti, quest’area tende a far confondere, provocando i classici ricordi offuscati.

Questo dato è fondamentale. Capire quale sia esattamente l’area capace di generare l’ipermemoria autobiografica potrebbe aiutare a curare la demenza. La strada è sicuramente ancora molto lunga. Tuttavia, i ricercatori che hanno condotto entrambi gli studi non vogliono fermarsi a questo punto. Il loro obiettivo è proprio quello di andare sempre più a fondo per poter sviluppare una cura per la demenza sfruttando questa magnifica capacità mnemonica.

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