Tazzine di caffè

La tazzina di caffè rappresenta un rito così radicato nell’abitudine italiana che ha spinto numerosi studiosi ed esperti a intervenire sui suoi rischi e benefici. Tra i principali rischi, a esempio, si annoverano l’inibizione dell’assorbimento di calcio e ferro e la funzionalità nervosa. Tra i benefici, invece, la facilitazione della digestione, l’effetto energetico e le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Non tutti, però, sanno che il caffè può anche aiutare a prevenire l’insorgenza di una malattia degenerativa come il Parkinson. È quanto emerso dallo studio effettuato dai neurologi della Società Italiana di Neurologia e pubblicato sul Parkinson’s & Related Disorders.

LO STUDIO SUL CAFFE’

Una volta selezionato un campione di circa 800 persone in buona salute e di età compresa tra i 30 e i 50 anni, è stata effettuata una suddivisone in due gruppi. Un primo gruppo – definito “di controllo” – formato da persone che non assumevano caffè e uno – definito “sperimentale” – formato da persone che ne assumevano in maniera regolare. Dopo un’osservazione ventennale, è emerso come la percentuale di chi ha sviluppato la malattia nel gruppo sperimentale sia di numero inferiore rispetto a quelli del  gruppo di controllo. In sostanza, chi ha continuato ad assumere caffè regolarmente è risultato più protetto dal Parkinson.

Ma da cosa dipende questa differenza tra i due gruppi? L’effetto “protettivo” della bevanda sembra sia legato al suo principale componente: la caffeina. Quest’ultima protegge i recettori che producono adenosina, sostanza fondamentale per la normale funzionalità delle cellule nervose. L’esatto meccanismo di difesa non è ancora del tutto chiaro, ma potrebbe rappresentare un campo di ricerca importante per sviluppare farmaci anti-Parkinson.

Le speranze, tuttavia, non finiscono qui. Un altro studio ha dimostrato come la caffeina possa aiutare a ridurre i sintomi della malattia, una volta diagnosticata. Anche in questo caso il campione comprendeva due gruppi, uno di controllo e uno sperimentale. Ogni individuo, però, presentava già una forma di malattia. Il primo gruppo era composto da persone con una sintomatologia moderata, il secondo con una più grave. Analizzando la saliva di ogni partecipante è stata notata una differenza nei livelli di caffeina: il gruppo con sintomi moderati presentava una quantità maggiore di sostanza rispetto a quello con i sintomi più gravi. Da qui l’ipotesi secondo cui il caffè non solo aiuti a prevenire il Parkinson, ma anche a rallentarlo.

ALTRI FATTORI DI PROTEZIONE: L’ATTIVITA’ FISICA

L’azione positiva della caffeina non è l’unico fattore di protezione verso il Parkinson. È stato, infatti, dimostrato in uno studio come anche una leggera e regolare attività fisica possa migliorare alcuni sintomi. Tra gli effetti positivi sono stati individuati una riduzione dei dolori, dei disturbi del sonno, dell’affaticamento e dell’ansia. Inoltre, viene prodotta e utilizzata meglio la dopamina, neurotrasmettitore che controlla i centri di ricompensa e piacere nel cervello.

L’allenamento consigliato nello studio prevede il concentrarsi su tre aree: quella della flessibilità, quella della resistenza e quella del cardio. Il miglior esercizio è il “random practice”, un esercizio aerobico che sfida l’individuo a cambiare attività, velocità o direzione.

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