Con l’avanzare dell’età risulta difficile mantenere una vita attiva, sia a livello fisico, sia intellettivo, ma anche sociale. La stanchezza legata all’invecchiamento porta talvolta a perdere vitalità e voglia di fare, soprattutto se si vive da soli. Si potrebbe quindi sviluppare la tendenza a isolarsi, con ricadute psicologiche, ma non solo. La solitudine cronica, infatti, potrebbe avere impatti negativi sulla salute in generale, fino a diventare un potenziale fattore di rischio per l’ictus nelle persone oltre i 50 anni. Vediamo quali sono le conseguenze di una vita (troppo) solitaria.
Solitudine prolungata ed effetti negativi sulla salute
La solitudine è sana se confinata ad alcuni momenti, quelli in cui si trascorre del tempo con se stessi. Si tratta di momenti di relax, di riflessione o di impegno in una passione solitaria, come la pittura, la lettura, il jogging, il bricolage, ecc. Infatti, la ricerca compulsiva di compagnia è sintomo di un disagio interiore, dettato dalla paura di essere pervasi da un sentimento di profonda solitudine ogni qual volta non si ha qualcuno intorno.
Così come il continuo bisogno di socializzare, anche la prolungata mancanza di rapporti sociali è una condizione malsana per un individuo. La riduzione delle interazioni con gli altri e l’isolamento provocano stati d’ansia, stress cronico, disturbi del sonno, scarsa autostima, disperazione, depressione e declino cognitivo. Non è raro che la solitudine estrema porti ad assumere stili di vita scorretti, fatti di sedentarietà, dieta squilibrata, ludopatia, fumo, abuso di alcol e sostanze stupefacenti.
Le cause della tendenza a isolarsi sono molteplici e possono variare a seconda dell’età. In adolescenza, la solitudine può essere dovuta alla fase delicata di crescita e sviluppo emotivo, di ricerca della propria identità. Quando si è adulti, può derivare da un trasferimento, da un divorzio, dalla perdita di una cerchia di amici, dall’essere il caregiver di un genitore, da un trauma fisico o psicologico o da un lutto.
Tuttavia, man mano che l’età avanza, è più probabile che venga meno la voglia di socializzare, soprattutto per coloro che hanno perso il coniuge o che non hanno un convivente. E in questi casi, le conseguenze negative della solitudine non colpiscono soltanto la salute mentale, ma anche quella fisica, incrementando il rischio di malattie cardiovascolari e di ictus cerebrale.
Ultracinquantenni e ictus: la solitudine è un fattore di rischio
Una ricerca pubblicata su eClinicalMedicine ha portato alla luce la connessione fra solitudine cronica e rischio di ictus. La ricerca ha preso in considerazione i dati di 12.161 over 50 provenienti da un precedente studio durato dal 2006 al 2018.
I dati del campione erano relativi ai livelli di solitudine degli individui, misurati in due fasi differenti, la prima tra il 2006 e il 2010 e la seconda fra il 2010 e il 2012, attraverso questionari e test specifici. I partecipanti sono poi stati seguiti per altri sei anni, fino al 2018. Durante i 12 anni dello studio, 1.237 persone sono state colpite da ictus cerebrale.
Dal confronto di questi risultati, è emerso che i soggetti con livelli di solitudine più elevati sono andati incontro a un ictus più degli altri. In particolare, quelli coi punteggi più alti nella prima valutazione, presentavano il 25% di probabilità in più di avere un ictus; per coloro che riportavano livelli di solitudine costantemente elevati, ovvero un punteggio alto anche nella seconda valutazione, la percentuale saliva al 56%.
La solitudine passeggera non ha invece mostrato una correlazione col rischio di ictus. Questo evidenzia maggiormente il fatto che ad essere pericolosa è la solitudine cronica, ovvero quella che si protrae per lungo tempo.
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