Cervello. Attacco TIA

L’ictus è causato da un’improvvisa interruzione del flusso ematico al cervello, con un conseguente deficit neurologico e motorio. Tra i principali fattori di rischio si annoverano l’ipertensione, il diabete, l’eccessivo consumo di alcol e fumo, una vita sedentaria e fattori genetici. La sintomatologia, invece, è quasi la medesima per tutti i soggetti colpiti: intorpidimento, debolezza degli arti, stato di confusione, afasia, vertigini e cefalea.

A oggi, l’ictus è la terza causa di morte in Italia, subito dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Sono 185.000 le persone colpite in un anno e circa il 30% di queste rischia la propria vita entro un mese.

Si tratta, quindi, di una malattia molto pericolosa che, però, in alcune rare situazioni, può essere individuata in tempo. Questo è il caso dell’attacco TIA- Transient Ischemic Attack.

L’ATTACCO TIA: EZIOLOGIA E PREVENZIONE

L’attacco TIA è una temporanea interruzione o riduzione dell’afflusso del sangue al cervello. Spesso viene definito “mini-ictus” dal momento che le cause e i sintomi sono pressoché i medesimi. La sua durata è, invece, variabile: da pochi minuti a un’ora. Oltre, viene già considerato attacco d’ictus.

Va però precisato che un TIA è spesso un avvertimento. Generalmente, infatti, una persona su tre che subisce un attacco ischemico transitorio, sviluppa l’ictus entro un anno. È possibile, tuttavia, incorrere nell’adozione di una serie di misure multidisciplinari – che coinvolgono figure professionali di diversi settori della medicina – in modo da prevenire l’eventuale attacco di ictus futuro.

In primis, assume un’importanza fondamentale il controllo dei fattori di rischio modificabili quali sorvegliare il diabete, la pressione, i livelli di grassi ed evitare alcolici e fumo. Per arrivare a questi obiettivi appare utile seguire una dieta sana – basso contenuto di sale e ridotto apporto di grassi saturi – e fare attività fisica. In secondo luogo, è possibile somministrare una terapia antitrombotica per evitare le interruzioni del flusso sanguineo. Infine, anche un monitoraggio cardiaco periodico aiuta a prevenire l’attacco di ictus.

E A LUNGO TERMINE?

Non solo l’attacco ischemico transitorio aumenta il rischio di ictus nell’anno successivo, ma può provocare degli effetti sia nel breve che nel lungo termine. Uno studio pubblicato sulla rivista Stroke, infatti, ha scoperto come il 15% dei pazienti che hanno avuto un TIA mostrava, nei tre mesi successivi all’evento, una qualche forma di disabilità lieve. Inoltre, dalla tac, è emerso come più della metà di loro presentassero un restringimento dei vasi sanguigni del cervello, a indicare una maggiore probabilità di intercorrere in una disabilità grave in futuro.

Infine, dall’analisi a lungo termine, è stato notato come la maggior parte dei pazienti fosse più propenso ad avere un nuovo attacco TIA nei primi anni successivi.

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