Con compiti di working memory a contenuto emotivo, i malati di Alzheimer possono avere prestazioni paragonabili a quelle di un adulto sano.

Recenti ricerche indicano, infatti, che in questi soggetti la decodifica, il mantenimento, la manipolazione ed il recupero di informazioni con valenza affettiva risultano essere conservate.

In uno studio, sono stati eseguiti due differenti training su un campione di pazienti con Malattia di Alzheimer: durante il primo allenamento sono state esercitate le funzioni di memoria più “passive” (riconoscimento emotivo), mentre nel secondo sono state coinvolte le funzioni più “attive” (manipolazione delle informazioni emotive). Dai primi dati a disposizione appare più facile allenare i processi semplici, mentre più difficoltoso risulta l’allenamento di quelli complessi.

Per una maggiore comprensione però, i ricercatori aspirano in futuro ad utilizzare tecniche di imaging e metodi psicofisiologici, quali ad esempio il cambiamento dell’espressione facciale o la misurazione della frequenza cardiaca, e analizzare altre variabili che possono influenzare la riuscita del training come la motivazione ed il materiale utilizzato.

 

Beatrice

http://neuroscienze-psicologia.blogspot.it/2008/04/working-memory-il-nuovo-buffer.html

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