Identificare l’Alzheimer, individuando la presenza della patologia prima che ne siano evidenti i segni. E dunque, cercare di rallentare la sua progressione intervenendo nelle fasi precoci. Il tutto attraverso un semplice esame del sangue. E’ questo l’obiettivo ambizioso che ha guidato la ricerca scientifica del team dell’Università dell’Insubria, in collaborazione con l’Asst dei Sette Laghi.

DIAGNOSTICARE L’ALZHEIMER SENZA SINTOMI

Diagnosticare l’Alzheimer non è un’operazione semplice. Servono controlli complessi e approfonditi. Controlli che possono essere effettuati solo nel momento in cui la malattia comincia a manifestare i primi sintomi. L’Alzheimer, però, comincia a manifestarsi in maniera asintomatica già decenni prima della sua insorgenza. Da qui deriva l’importanza di questo studio. Effettuato a partire dal 2016, su un gruppo di 42 persone tra i 64 e gli 87 anni di età, comprese quelle sane. I primi risultati, pubblicati anche sulla prestigiosa rivista internazionale “Translational Psychiatry” del gruppo “Nature Publishing”, sono molto promettenti.

L’AMMINOACIDO D-SERINA

La ricerca è stata condotta utilizzando la metodica di analisi nota come HPLC chirale. Acronimo di High Performance Liquid Chromatography: cromatografia liquida ad elevata prestazione). Tecnica sensibile e accurata che consente di dosare quantità molto piccole degli amminoacidi di interesse presenti nel campione.

L’amminoacido in questione è la D-Serina. Il quale permette, in base al livello riportato, di stabilire se l’attività di neurotrasmissione è regolare oppure no. Spiega il professore Luciano Piubelli:

“È noto da tempo che nella malattia di Alzheimer viene alterata la neurotrasmissione, cioè lo scambio di molecole tra cellule del cervello, mediata dalla D-serina, un particolare amminoacido, i cui livelli sono differenti in particolari zone del cervello dei malati di Alzheimer rispetto ad individui sani”

I risultati di questo studio confermano che anche nel siero dei pazienti affetti da Alzheimer i livelli di questo amminoacido sono maggiori già ad uno stadio di demenza lieve o moderata. Possono quindi costituire un valido indicatore per la diagnosi della malattia. Inoltre, l’incremento dei livelli di D-serina è maggiore negli stadi più avanzati della malattia.

GLI OBIETTIVI FUTURI

Lo sforzo per l’individuazione di nuovi indicatori della malattia, facilmente valutabili con un esame del sangue, è utile non solo per contribuire alla diagnosi. Ma anche, se identificati già nelle fasi molto precoci della malattia, per intervenire con trattamenti mirati alla sua progressione.

La ricerca è un ottimo punto di partenza per scoperte future. L’obiettivo sarà verificare se questa alterazione è effettivamente un tratto distintivo dell’Alzheimer rispetto ad altri tipi di demenza senile.

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